Cass., 25 ottobre 2016, n. 21453 Dalla Cassazione un nuovo no alla configurabilità del danno tanatologico

1. In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo un brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (nel caso di specie, dagli accertamenti compiuti nel giudizio di merito, risultava che la vittima versava in "grave stato di shock", avendo riportato tra l'altro un grave trauma cranio-facciale, e che il decesso era intervenuto dopo poche ore dal sinistro).

2. La controversia sottoposta al vaglio della Suprema Corte traeva origine da un sinistro stradale nel quale una donna era rimasta uccisa. I genitori e i sette fratelli superstiti avevano convenuto in giudizio i responsabili della morte della loro congiunta, ed in particolare, il conducente del minibus, la proprietaria dello stesso, l'assicuratrice obbligatoria, la società che aveva la materiale disponibilità del minibus e l'associazione sportiva che l'aveva noleggiato, onde ottenere il risarcimento di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale.

Il Tribunale di Roma, accertata la causa esclusiva del sinistro nella condotta del conducente del minibus, condannava i convenuti al pagamento delle rimanenze non soddisfatte dagli acconti già versati.

La decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Roma, la quale riteneva congrua la cifra liquidata ai congiunti a titolo di danno morale (inteso sia come turbamento dello stato d'animo sia come sconvolgimento della vita familiare) e riteneva di non dovere risarcire il danno psichico jure proprio al genitore, né il danno esistenziale.

Contro tale decisione, i fratelli della vittima proponevano ricorso in Cassazione affidandosi ad otto motivi, cui resisteva con controricorso la società assicuratrice: a) con il primo motivo deducevano la violazione di plurime disposizioni di legge, anche di rango costituzionale, con cui denunciavano l'omessa integrale ingiusta riparazione degli unitari danni parentali da morte della sorella, lamentando che la corte territoriale si sarebbe limitata, nella globale quantificazione del danno parentale da morte, a confermare la statuizione di primo grado ratificando "pigramente" l'operato estimativo matematico del primo giudice che nel 2005, aveva valutato i danni non patrimoniali sulla base di una tabella del tribunale di Roma risalente al 2004 relativa al solo danno morale transeunte anziché applicare le tabelle disponibili nel 2012 che avrebbero consentito una liquidazione del danno non patrimoniale più corretta ed accurata, mentre con il secondo motivo censuravano l'omesso esame di un fatto decisivo, ovvero, quello della rilevante entità dell'unitario danno non patrimoniale già accertato nelle sue componenti dal Tribunale; b) con il terzo e quarto motivo, denunciavano l'omesso esame della censura relativa al mancato accertamento peritale del danno psichico lamentato dai genitori quale conseguenza della morte della sorella nonché la violazione del diritto al risarcimento integrale del danno alla salute psichica e la violazione anche della prova documentale e di quella presuntiva semplice circa l'esistenza del denunciato danno psichico da lutto; c) con il quinto, sesto, settimo e ottavo motivo, i ricorrenti lamentavano la liquidazione del danno morale, cd. danno catastrofale, trapassato iure hereditario.

3. Ambedue i primi due motivi sono stati rigettati poiché i ricorrenti non avevano indicato dove, nel giudizio di merito, avessero introdotto la questione relativa alla richiesta di adeguamento alle nuove tabelle milanesi del 2011. In proposito, la decisione ribadisce un orientamento giurisprudenziale ormai consolidatosi in seguito al riconoscimento di validità paranormativa delle tabelle milanesi quale criterio di valutazione integrativo della valutazione equitativa risultante dal combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 c.c., operato con la sent. n. 12408/2011 – fatta eccezione per le lesioni di lieve entità causate dalla circolazione di veicoli e natanti, per le quali vige un'apposita normativa – ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale. È stato, da ultimo, ribadito anche da una recente sentenza di legittimità del giugno 2016, n. 12397 che, in tema di danno non patrimoniale, il riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, comportante una liquidazione di entità inferiore a quella risultante dall'applicazione di queste ultime, può essere fatto valere in sede di legittimità come vizio di violazione di legge soltanto ove: a) la questione sia stata già posta nel giudizio di merito; b) il ricorrente abbia altresì versato in atti le tabelle milanesi.

Il terzo ed il quarto motivo sono anch'essi rigettati poiché, a giudizio della Corte, il giudice del merito non era incorso nelle violazioni a lui addebitate, avendo congruamente motivato in relazione agli stessi e poiché attraverso il dedotto vizio di violazione di legge i ricorrenti sollecitavano, in realtà, una nuova valutazione dei fatti storici rispetto a quella compiuta dal giudice di appello.

Gli ultimi tre motivi sono ritenuti infondati alla luce del principio, già enunciato in sede di legittimità, per cui, in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo un brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (in proposito, la terza Sezione richiama il proprio precedente pronunciamento di cui alla sentenza n. 5684 del 24 marzo 2016, nonché il dictum reso dalle Sezioni Unite n. 15350 del 22 luglio 2015). La terza Sezione valorizza quanto emerso dagli atti del giudizio di merito, poiché, dalla cartella clinica dell'ospedale ove era stata ricoverata, risultava che la vittima versava in "grave stato di shock", avendo riportato tra l'altro un grave trauma cranio-facciale, e che il decesso era intervenuto dopo poche ore dal sinistro.

4. La sentenza in commento torna ad occuparsi del così detto danno tanatologico, quale danno che deriverebbe dalla morte a seguito di un fatto illecito. Si tratta di una figura di danno non patrimoniale piuttosto controversa, ammessa da una parte della dottrina civilistica, benché generalmente avversata in giurisprudenza. Chi ne sostiene l'esistenza, ne ravvisa il fondamento nella tutela multilivello accordata al diritto alla vita.

Alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale, il danno tanatologico, più esattamente, si avrebbe in caso di decesso che avvenga nell'immediatezza della lesione subita dalla vittima dell'illecito, senza un apprezzabile lasso temporale ed in tale connotato temporale è ravvisabile la sua differenza rispetto al danno biologico terminale ove tra la lesione e la morte intercorre un arco temporale più o meno ampio. Il danno tanatologico andrebbe, peraltro, distinto anche dal così detto danno catastrofico o catastrofale, inteso come la sofferenza psichica di massima intensità, ancorché la morte si sia verificata a breve distanza temporale dalle lesioni subite.

La giurisprudenza di legittimità è generalmente incline a negare la configurabilità di una simile figura di danno sia poiché in essa sarebbe riscontrabile un'anomala funzione punitiva – stante la natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile – sia poiché, anche ove fosse astrattamente riconosciuta, detta figura sarebbe un diritto adespota in quanto sarebbe impossibile configurare l'acquisizione di un diritto risarcitorio che derivi dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso con la persona del titolare.

L'attenzione verso il tema era stata, invero, riaccesa, pochi anni or sono, con la pronuncia n. 1361/2014, con cui la terza Sezione, facendo anche leva sulla mutata "coscienza sociale", oltre che sulle norme internazionali ed europee vincolanti per l'Italia, aveva ritenuto risarcibile il danno tanatologico quale eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni-conseguenza, eccezione ritenuta necessaria a tutela del bene supremo della vita, anche a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato avesse della sorte tragica che lo attendeva, pure ove la morte fosse immediatamente conseguita all'illecito.

La sentenza da ultimo menzionata ingenerava un contrasto di giurisprudenza, la cui risoluzione veniva rimessa al vaglio delle Sezioni Unite. Con la sentenza n. 15350/2015, il contrasto veniva risolto negando alla persona che muoia per colpa altrui la titolarità di un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da "perdita della vita", di conseguenza ritenuto intrasmissibile agli eredi, ammettendo cionondimeno la possibile risarcibilità e trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale che sia stato effettivamente patito nell'intervallo tra le lesioni e la morte, ove esso sia stato concretamente apprezzabile. La pronuncia, peraltro, si segnala per la censura del ricorso alla "coscienza sociale" come criterio-guida per l'attività dell'interprete del diritto positivo, in quanto criterio indistinto e difficilmente individuabile. A sostegno della propria tesi, le Sezioni Unite richiamavano anche la sentenza n. 372/1994, con cui la Corte Costituzionale aveva rigettato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c., nella parte in cui non consente il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita del de cuius, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 Cost. Nella sentenza richiamata, la Consulta enunciava la necessità di distinguere il bene salute dal bene vita e la conseguente non esportabilità dei principi elaborati in giurisprudenza per la lesione della salute alla lesione della vita, evidenziava come qualsiasi danno non consiste nella mera lesione di un diritto, ma esige che da quella lesione sia derivata una perdita patrimoniale o non patrimoniale e ravvisava nella morte immediata della vittima un insormontabile ostacolo, logico prima ancora che giuridico alla configurabilità del danno tanatologico, atteso che la morte immediata della vittima impedisce che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita. La sentenza ivi in commento riafferma i principi da ultimo richiamati.

SENTENZA
sul ricorso 26866/-2013 proposto da:
G.G., in proprio ed anche quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., fratello della vittima primaria, G.A. in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., sorella della vittima primaria, G.L. in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., fratello della vittima primaria, G.R. in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., sorella della vittima primaria, GR.AN. in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., sorella della vittima primaria, G.F. in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., sorella della vittima primaria, G.A.in proprio e quale erede ab intestato del padre G.V. e della madre C.M., sorella della vittima primaria, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell'avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, rappresentati e difesi dagli avvocati ALESSANDRO GRACIS, GAETANO GRIECO giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
GENERALI ITALIA SPA (già ASSITALIA ASSICURAZIONI D'ITALIA SPA), a mezzo della propria mandataria e rappresentante GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A., in persona dei procuratori speciali P.V. e D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell'avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
S.D., GR.VA., G. SRL, ASSOCIAZIONE POLISPORTIVA SE MEDITERRANEA;

DirittoItaliano.com - Tutti i diritti riservati - Autorità: Corte di Cassazione Terza civile Data: 25.10.2016 Numero: 21453

- intimati -
avverso la sentenza n. 4917/2012 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/10/2012; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
udito l'Avvocato ALESSANDRO GRACIS;
udito l'Avvocato MARCO VINCENTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l'accoglimento dei primi due motivi di ricorso rigetto degli altri.

Svolgimento del processo

1. La presente controversia trae origine da un sinistro stradale nel quale perse la vita G.M.
Quindi nel ____, i genitori ed i sette fratelli superstiti convennero in giudizio i responsabili della morte della loro congiunta, ed in particolare, il conducente del minibus, la proprietaria dello stesso, l'assicuratrice obbligatoria, la società che aveva la materiale disponibilità del minibus e l'associazione sportiva che l'aveva noleggiato, al fine di ottenere il risarcimento di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale.

Il Tribunale di Roma accertò la causa esclusiva del sinistro nella condotta del conducente S. e condannò i convenuti al pagamento delle rimanenze non soddisfatte dagli acconti già versati.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 4917 del 9 ottobre 2012. La Corte ha ritenuto congrua la cifra liquidata ai congiunti a titolo di danno morale (inteso sia come turbamento dello stato d'animo sia come sconvolgimento della vita familiare), ed ha ritenuto non dovere risarcire il danno psichico iure proprio ai genitore, nè il danno esistenziale.

3. Avverso tale decisione, i fratelli G. propongono ricorso in Cassazione sulla base di 8 motivi, illustrati da memoria. Sono state anche depositate note alle conclusioni del Procuratore Generale.
3.1. Resistono con controricorso le Generali Italia s.p.a.

Motivazione

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione di plurime disposizioni di legge, anche di rango costituzionale, con cui denunciano l'omessa integrale ingiusta riparazione degli unitari danni parentali da morte della sorella. Lamentano che la corte territoriale si sarebbe limitata, nella globale quantificazione del danno parentale da morte, a confermare la statuizione di primo grado ratificando "pigramente" l'operato estimativo matematico del primo giudice che nel 2005, aveva valutato i danni non patrimoniali sulla base di una tabella del tribunale di Roma risalente al 2004 relativa al solo danno morale transeunte anzichè applicare le tabelle disponibili nel 2012 che avrebbero consentito una liquidazione del danno non patrimoniale più corretta ed accurata.

Con il secondo motivo censurano l'omesso esame di un fatto decisivo, ovvero, quello della rilevante entità dell'unitario danno non patrimoniale già accertato nelle sue componenti dal Tribunale.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi inammissibili.

I ricorrenti non indicano dove nel giudizio di merito abbiano introdotto la questione relativa alla richiesta di adeguamento alle nuove tabelle milanesi del 2011 considerando che la sentenza della Corte d'Appello è del 9 ottobre 2012. Il Giudice del merito è tenuto ad applicare le ultime tabelle aggiornate ma è necessaria l'introduzione della questione da parte dei ricorrenti in sede di merito, in quanto il giudice non può applicare automaticamente le nuove tabelle.

4.2. Con il terzo e quarto motivo, denunciano l'omesso esame della censura relativa al mancato accertamento peritale del danno psichico lamentato dai genitori quale conseguenza della morte della sorella nonchè la violazione del diritto al risarcimento integrale del danno alla salute psichica e la violazione anche della prova

documentale e di quella presuntiva semplice circa l'esistenza del denunciato danno psichico da lutto. I motivi sono infondati.

Il giudice del merito non è incorso nelle violazione a lui addebitate. Infatti, al punto tre della sentenza impugnata ha indicato i motivi per cui ha dichiarato inammissibili le richieste istruttorie degli appellanti ed al punto quattro, ha motivato in modo congruo e scevro da vizi logico giuridici, sulla liquidazione del danno.
In realtà i ricorrenti pur denunciando, apparentemente, violazione di legge chiedono in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006).

4.3. Con il quinto, sesto settimo e ottavo motivo, i ricorrenti lamentano la liquidazione del danno morale, cd. danno catastrofale, trapassato iure hereditario.

Anche tali motivi sono infondati.

E' principio di questa Corte che in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionato da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibili solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicchè, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo un brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass. 5684/2016; Cass. 1535/2015). Nel caso di specie il giudice del merito ha accertato che dalla cartella clinica dell'Ospedale di (OMISSIS) risultava che G.M. versava in "grave stato di shock" avendo riportato tra l'altro un grave trauma cranio-facciale e che il decesso era intervenuto dopo poche ore.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti solidalmente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016.

 

 

 

 

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